Sorrentino convince con il suo film più personale
Esistono due tipi di persone al mondo: chi ama follemente i film di Sorrentino e chi, invece, li detesta. Che voi facciate parte della prima o della seconda categoria in questo caso non fa distinzione, perché È stata la mano di Dio vi sorprenderà.
Nei suoi film precedenti Sorrentino raccontava di suggestioni, costruendo magnifici racconti che si aprivano a simbolismi interpretabili a seconda della soggettività dello spettatore. La memoria e i ricordi erano il vero motore dell’azione con cui descriveva esistenze senili svuotate di ogni prospettiva futura e, spesso, arenate sui propri rimpianti e rimorsi.
Qui, invece, ad essere protagonista è un giovane ragazzo che dovrebbe essere proiettato verso un brillante avvenire ma che, a causa di tragici eventi, si trova disorientato e privato di qualsiasi ardore.
La trama
Sullo sfondo di una lussureggiante Napoli degli anni Ottanta, Fabietto Schisa (interpretato dall’esordiente Filippo Scotti) è un diciassettenne che vive la propria adolescenza con analitico distacco ma precoce maturità intellettuale. Immerso in un’atmosfera frenetica e vivace, tra l’affetto dei suoi cari e la febbrile attesa dell’arrivo di Diego Armando Maradona nella squadra di calcio locale, vedrà la sua vita venire sconvolta da un grave incidente.
Perché merita di essere visto
È stata la mano di Dio risulta coinvolgente ed emozionante grazie a una scrittura registica impeccabile e a un cast magistrale che ha fatto la differenza, oltre Filippo Scotti, anche Toni Servillo (ormai al sesto film con il regista), Teresa Saponangelo, Marlon Joubert, Luisa Ranieri, Massimiliano Gallo e Betti Pedrazzi. Ottima anche la fotografia firmata da Daria D’Antonio.
In conclusione: forse non è del tutto corretto affermare che È stata la mano di Dio sia un capolavoro, ma probabilmente è un film che si avvicina di molto all’eccellenza. La pellicola prodotta da Netflix sarà disponibile il prossimo 15 dicembre su piattaforma, e noi di Gilt magazine vi assicuriamo che non ne rimarrete delusi.
di Emanuela Bruschi