I vestiti si raccontano è una serie tv ironicamente divertente: storie di persone comuni che si narrano tramite i loro capi d’abbigliamento.
Raccontarsi attraverso i vestiti
Chi di noi non ha mai avuto un rapporto più profondo con un capo di abbigliamento piuttosto che con un altro? Magari una t-shirt che ci ricorda un magico appuntamento, delle scarpe in particolare con cui abbiamo fatto una meravigliosa passeggiata in montagna, un accessorio…Questo concetto di amore, o comunque di legame con alcuni abiti, emerge proprio nella serie tv firmata Netflix: I vestiti si raccontano. È buffo come all’inizio, in realtà con ironia, ci viene presentata una coppia di nudisti, i quali, invece, è proprio senza abiti che si sentono a loro agio.
Otto puntate che narrano di persone e storie diametralmente opposte, tutte completamente distanti dal concetto di fast-fashion o dalla necessità del must-have di tendenza. Proprio in questo paradosso sta l’ironia della serie Netflix, ovvero che i protagonisti sono tutti soggetti “liberi” dalla necessità di volersi raccontare con un abito. Può essere assurdo per alcuni di noi pensarla così, perché lo scopo di ogni designer che progetta una nuova collezione è proprio quello di raccontarsi e di raccontare una storia che poi a sua volta si legherà e donerà senso alla collezione successiva. Non per tutti funziona così, e alla fine se il mondo è bello perché è vario, a noi piace sempre “sentire la campana” anche di chi la pensa diversamente.
Sono ciò che indosso o non indosso
La docu-serie disponibile in Italia dal 1 aprile non è altro che la trasposizione video dei best seller di Emily Spivack, la quale, con spiccata determinazione, dal 2010 raccoglie diverse storie di personaggi famosi, ma anche innumerevoli storie di persone comuni, racconti legati all’abbigliamento e al significato degli abiti che possiedono o che non vogliono possedere; dall’abito speciale a quello che conferisce importanti ricordi, fino a quello che, nascosto nell’armadio, non vogliamo buttare anche se non indossato da anni.
Il più determinante appeal conferito alla docu-serie proviene proprio dalle persone comuni intervistate, e non tanto dalle fashion victim o dai grandi designer, perché è la storia insolita a lasciare un eco. Se di vestiti si parla, è molto interessante sentire come questi ultimi non siano importanti piuttosto che il contrario. Talvolta possono essere degli oggetti identitari, talvolta no. Ma tutto questo è intrigante, vedere che prescinde dall’etichetta o dal valore del cartellino.
La mia divisa non sono io
Spesso non è un capo di abbigliamento scelto in una boutique di nicchia a raccontare chi siamo, molte volte lo fa una divisa. E la divisa può far pensare a chi ci è di fronte che siamo quello che indossiamo. Ma quante volte ci si sbaglia! Quante volte succede che un cliente si siede a un ristorante e si rivolge alla cameriera o cameriere come se fosse incapace di pensare, come se fosse lì solo perché secondo lui o lei non è stato in grado di portare avanti gli studi? Eppure, che ne sanno le persone se dietro quel grembiule a macchie non c’è un ragazzino che si sta pagando gli studi di ingegneria servendogli da mangiare?
Insomma, questa docu-serie fa riflettere moltissimo, soprattutto vuole sensibilizzare le persone e condurle verso un ragionamento che in realtà doveva essere raggiunto molto tempo prima, ovvero che l’abito non fa il monaco, la divisa non fa la personalità, ciò che ci veste davvero, ciò che ci descrive e ciò che non ci fa sentire “nudi”, è il nostro modo di essere, è la dignità, è la l’atteggiamento, un sorriso, un movimento, ed è bellissimo pensare che possiamo tutti raccontarci senza dover in realtà scegliere cosa indossare .
Insomma, otto puntate per non parlare di moda, nonostante il titolo possa ingannare, e chi proprio andando oltre al titolo sarà curioso di guardare la docu-serie, farà già quel primo passo necessario per essere una persona che ha voglia di guardare oltre le apparenze. Otto puntate per parlare dei ricordi legati a un capo d’abbigliamento e non della sua influenza sul mercato. Otto puntate di memorie e riflessioni con sensazioni tattili-emotive annesse.
di Sara Steccanella