Un attore che parla con gli occhi lucidi per l’emozione, un artista che canta con voce provocante e un chitarrista-pianista dall’aspetto retrò evocano sul palco i fantasmi di un hotel le cui mura potrebbero raccontare storie ancora più incredibili delle tante che già conosciamo. Chelsea Hotel, spettacolo di Massimo Cotto (dal 28 marzo al Teatro Alfieri di Milano), è a metà tra una reading e un concerto, dove le parole si trasformano in immagini e la musica in schiaffi e carezze. L’hotel di Manhattan che ospitò Jack Kerouack, Bob Dylan, Janis Joplin, Andy Warhol, Sid Vicious, Charles Bukowski e molti altri, viene fatto rivivere stanza per stanza, leggenda per leggenda. Così Massimo Cotto racconta della storia di una notte tra Leonard Cohen e Janis Joplin, ora custodita nella canzone Chelsea Hotel #2 di cui Mauro dei La Crus intona le note: “You told me again you prefered handsome men/ but for me you would make an exception. /And clenching your fist for the ones like us/who are oppressed by the figures of beauty, /you fixed yourself, you said, Well never mind, /we are ugly but we have the music.” E poi narra dell’orologio da polso della cantante francese Édith Piaf, che in una stanza del Chelsea Hotel smette di funzionare proprio nel momento in cui l’aereo su cui volava il pugile Marcel Cerdan precipita; Mauro Giovanardi canta così La vie en rose con voce struggente e profonda. E quanti artisti hanno fatto l’amore su quelle lenzuola e poi pianto, quanti hanno tradotto le proprie lacrime in versi. Quanti immortali sono morti proprio lì, sulla 23esima strada, come Dylan Thomas stroncato da troppo whisky e qualche dose di morfina. Le storie di grandi e piccoli del mondo dell’arte, si sono susseguite per anni al Chelsea Hotel con naturalezza, perché lì arte e vita, realtà e fantasia, si scambiavano i ruoli.
Marta Falcon