Un instancabile Evergreen
Beffardo, umoristico, con un tacito velo di amara riflessione. Si aprono i sipari color vermiglio del Teatro Franco Parenti di Milano e va in scena l’iconica commedia teatrale del drammaturgo francese Molière; la sua ultima, nonché più celebre, produzione teatrale prodotta prima della sua morte, avvenuta l’anno successivo, nel 1673.
Oggi, nel ruolo di Argan, trionfa un magnifico Gioele Dix che, con la sua intelligente ironia, affronta la sfida di un confronto con l’indimenticato Franco Parenti. Accanto a lui un’impeccabile Anna Della Rosa, nei panni della dolce serva Tonina che, con il suo raffinato sarcasmo, fa risuonare il teatro con sincere risate.
La commedia, pur essendo goliardica e apparentemente contornata da toni assurdi e paradossali, è intrisa di realismo. La volontà di quest’opera è quella di mettere in luce tutte le convenzioni e le radicate meschinità che si celano all’interno della nostra quotidianità, che difficilmente si è in grado di cogliere. L’arida verità che Molière aspira a tramandare è che il “brav’uomo” della società borghese è inesorabilmente condannato a una solitudine esistenziale, perché incapace di istituire legami affettivi sinceri, svincolati da secondi interessi.
La trama
La commedia mette in scena le vicende familiari di un ipocondriaco Argan, un malato immaginario, che trascorre il suo tempo a cercare malattie inesistenti, tentando disperatamente di circondarsi di medici inetti, scaltri farmacisti, ben contenti di acuire le sue ansie per tornaconto personale. Ad aggravare la situazione si aggiunge l’avida seconda moglie di Argan, che altro non spera se non di essere nominata unica sua erede, spodestando la figlia, Angelica, che vorrebbe mandare in convento. Tuttavia, Angelica si innamora fulmineamente di Cléante, un umile contadino di paese, e i due sperano nell’approvazione del padre per potersi sposare; ma Argan, schiavo delle sue paure e ansie, mira a darla in moglie a Diafoirus, dottore dalle discutibili capacità, unicamente per avere un medico in famiglia.
A far ragionare Argan, e a dissuaderlo dalle influenze maligne dei dottori e della moglie, saranno Tonina, la fidata cameriera, e suo fratello Beraldo, che lo convinceranno a fingersi morto. Così facendo l’anziano protagonista si rende finalmente conto di tutta l’ipocrisia e falsità che lo circondano. Alla fine, solo l’affetto sincero della figlia Angelica verrà premiato: potrà sposare il giovane che ama e Argan deciderà di diventare lui stesso medico.
La conclusione de Il malato immaginario altro non è che una burla; una presa di coscienza da parte del protagonista sulla realtà di ipocrisie che lo circonda, un mondo segnato da utilitarismo e solitudine, celato dietro l’apparente perbenismo della società borghese di metà ‘700. Dopotutto la vicenda narrata da Molière rappresenta un’evidente allegoria di stampo politico: i rapporti tossici e ossessivi di Argan con la medicina alludono, puntualmente, ai rapporti di qualsiasi “brav’uomo”, vittima e insieme colpevole, con il potere.
Le parole del regista
“Tutto il vostro sapere è una chimera» dice Argan, e a risultargli incomprensibile è la realtà che lo circonda, in cui la conoscenza medica non è che la diretta dimostrazione della vulnerabilità umana. La paura della malattia e la convinzione di aver bisogno di medici strampalati rendono cieco il protagonista, incapace di comprendere la falsità delle persone intorno a lui, così come di apprezzare chi realmente lo ama. Dopo oltre tre secoli di rappresentazioni e riletture, rimane inalterato il fascino delle opere di Molière, incarnazione piena del teatro: autore, regista e interprete delle proprie opere, fustigatore dei vizi della società”.