Già dal titolo dell’ultimo film di Giuseppe Tornatore, La corrispondenza, uscito nelle sale italiane il 14 gennaio, si assapora il legame fortemente evocativo che il regista siciliano riallaccia con lo spettatore. Lo scorrere dei fotogrammi nel film non fa che confermare questo piacevole presagio, inglobando al termine “corrispondenza” un significato sempre più esteso, passando da quello comune di scambio epistolare, a quello più trasversale, di ricerca continua di un incontro, mai del tutto appagato, tra realtà distanti.
La pellicola allestisce la corrispondenza digitale tra il rinomato professore di astrofisica, Ed Phoerum, interpretato da Jeremy Irons, sempre entusiasta di calcare scene di registi italiani, innamoratosi della sua allieva Amy Ryan, in cui si immedesima Olga Kurylenko, già musa di Terrence Malick. Sebbene l’epistula in questione abbia il formato virtuale e multimediale di una mail o di una videochat, l’impianto narrativo non viene corroso nella sua capacità metaforica: la corrispondenza tra i due amanti diventa un’elegia dell’assenza.
Al regista, infatti, non interessa qualificare ciò che de facto la tecnologia è in grado di realizzare, vale a dire la copertura di distanze spazio-temporali, quanto invitare sulla scia delle riflessioni sul tempo di “Nuovo Cinema Paradiso” e de “La Leggenda del pianista sull’oceano” a riflettere sull’ideale che sta dietro al suo sviluppo: il tentativo di immortalare la propria avventura esistenziale e lo sforzo spasmodico di far sì che tale prolungamento coincida, o meglio, in un’ottica più squisitamente relazionale, “corrisponda” con quello dell’amato. E di fronte ad un’esigenza così ancestrale, il linguaggio del regista si dirama in un rispetto quasi sacrale: dalla sceneggiatura affidata a pochi dialoghi marginali al contrasto cromatico tra la stucchevole volta celeste scrutata dal telescopio e i lividi paesaggi dello Yorkshire, fino alla colonna sonora firmata da Ennio Morricone, che s’inserisce nell’intreccio narrativo delicatamente, quasi in punta di piedi, culminando in un elogio del silenzio con la struggente cover di Enjoy the silence dei Depeche Mode.
Rievocando la correspondance baudelairiana, Tornatore ci conduce di fronte all’inevitabile insoddisfazione di tale esigenza: una relazione si struttura nel tempo senza annullarlo, ma trasformandosi con esso e accettandone l’instabilità. Del resto, lo stesso cinema s’inscrive nell’ordine di una corrispondenza, sia per la relazione sempre mutevole tra regista e pubblico, sia perché come spiega Tornatore alla presentazione del film: “nell’istante in cui il fotogramma raggiunge la nostra retina, quel fotogramma non c’è più”.
di Katia D’Addona
…mi sono innamorato di questa recensione…e forse non mi serve guardare il film