Il panorama western è solitamente legato a figure maschili, bellicose e ruvide: secondo l’olandese Martin Koolhoven, è giunto il momento che a dominarlo entri in gioco una personalità femminile.
Sullo sfondo delle selvagge Badlands, una delle aree più desolate degli USA, Brimstone – presentato in questi giorni al 73esimo Festival del Cinema di Venezia – racconta e spettacolarizza le più tragiche bassezze dell’animo umano.
Protagonista di questa narrazione è Liz, aka Dakota Fanning, bellezza inquieta ma trattenuta che, dietro ad un’apparenza comune, nasconde una storia perseguitata, segnata da un padre fanatico e diabolico. Una donna temeraria, capace di sprigionare un coraggio inossidabile a difesa della propria libertà e della sicurezza dei propri cari.
Il suo persecutore, il reverendo Preacher, magistralmente interpretato da Guy Pearce, è un fanatico religioso capace di violenze inenarrabili, che sembra avere un conto in sospeso con lei al punto da esserne ossessionato. All’interno di una narrazione strutturata in 4 capitoli (Apocalisse, Esodo, Genesi, e Castigo) a ritroso nel tempo, viene sviscerato il tragico e doloroso vissuto che lega le due figure. Il candore vestale e innocente di Liz nasconde un passato torbido, un’infanzia sottrattale dalle perversioni carnali e dai deliri religiosi del padre, una giovinezza sprecata in un bordello.
Dakota Fanning, già nota al grande schermo per il suo ruolo da co-protagonista in Twilight, raccoglie la sfida di interpretare un personaggio che ha rinunciato per sempre alla parola per andare incontro a circostanze che le riservassero un destino migliore. Un personaggio il cui silenzio vibra, urla. Da muta, la statunitense ninfa dagli occhi di ghiaccio, riesce ugualmente (o forse addirittura di più) ad esprimere tutto il tormento di una vita segnata dal sopruso e dalle amarezze. Modeste ma significative apparizioni anche per i protagonisti della serie Games of Thrones: Carice van Houten, che interpreta la figura debole e sottomessa della madre, e Kit Harington, un viandante dalla pistola facile che insegnerà a Liz a trovare la forza di lottare per liberarsi dalle grinfie paterne. Emilia Jones, classe 2002, interpreta Liz adolescente nel villaggio natale, confermandosi a pieno titolo come una delle giovanissime promesse d’oltreoceano.
Una terribile lotta alla sopravvivenza, una venagione, in cui il cacciatore, il Reverendo, compie le peggiori efferatezze per distruggere tutto ciò – e chiunque – la sua preda ami. Il susseguirsi dei capitoli svela, pian piano, un nuovo volto della brutalità e delle pericolose derive dell’integralismo religioso. Una narrazione cruda e non lineare, che non risparmia all’occhio il sangue, la violenza carnale, l’omicidio, scavando nell’animo dei protagonisti e lasciando emergere le più bieche ossessioni umane.
A tratti l’eccessiva spettacolarizzazione di alcune scene di violenza ricade nel macabro, sfociando nell’horror/splatter, fino a sfiorare il grottesco involontario. Un racconto incalzante che racchiude in un unico lunghissimo affanno (148 minuti sono una durata considerevole, forse quasi esagerata) vendetta, violenza e dolore, e in cui la morte è vista come rifugio dalle pene terrene, unica soluzione estrema e definitiva alla crudeltà umana.
La stessa Liz, una volta messa al sicuro la figlia, decide di lasciarsi affogare, trovando nell’acqua il battesimo per una nuova vita, lontana dai fantasmi carnali che avevano perseguitato ogni suo respiro. Di fronte alla morte sorride, mentre echeggiano le parole della figlia, oramai cresciuta e madre a sua volta, che la ricorda come una vera Giovanna d’Arco, sua eroina ed esempio.
Brimstone: una novella popolare a sfondo noir, un amaro ritratto di famiglia che rincorre gli anni e le stagioni della vita in un’escalation di violenza inaudita che mesce western, horror, thriller commuovendo, irretendo, affascinando.
di Francesca Favero