Vincitore del Premio Pulitzer nel 1957 e reso celebre anche dall’adattamento cinematografico di Sidney Lumet con Katharine Hepburn, il dramma si addentra nelle dinamiche tossiche della famiglia Tyrone, tra dipendenze, rimpianti e ferite mai guarite.
Una famiglia sull’orlo del baratro
Siamo nel 1912. James Tyrone, attore ormai in declino, è incapace di gestire il proprio fallimento e quello della sua famiglia. Sua moglie Mary è schiava dell’oppio, i due figli, Jamie e Edmund, combattono i propri demoni tra alcolismo e tubercolosi. Nel corso di una lunga giornata, in un’atmosfera claustrofobica e carica di tensione, ogni parola diventa un coltello, ogni confessione un colpo al cuore. I personaggi oscillano tra l’illusione di un passato idealizzato e la cruda realtà di un presente segnato dall’autodistruzione.
Gabriele Lavia e il potere del teatro verità
Gabriele Lavia, regista e protagonista, affronta il testo con la maestria di chi conosce ogni sfumatura dell’animo umano. «Le vite degli uomini – scrive Lavia nelle note di regia – sono fatte di tenerezza e violenza. Di amore e disprezzo. Comprensione e rigetto. Di famiglia e della sua rovina.» Un viaggio struggente nel cuore di un dramma autobiografico, dove il dolore si intreccia con la fragilità, e il teatro diventa specchio della vita.
Uno spettacolo imperdibile, che promette di emozionare e sconvolgere, con una messa in scena intensa e viscerale, capace di far risuonare nel pubblico la forza di una tragedia senza tempo.