Giorgio Bassani insisteva sul credere che chi corre dietro al pubblico dentro di sé non abbia niente, io al contrario sono certa che al mondo non a tutti è concesso il dono della genialità, della pazzia, dell’ambizione dell’ unicità, altri, ugualmente bravi, ugualmente meritevoli prediligono forse una gloria momentanea ma intensa che lascia nel cuore una piena soddisfazione e una piacevole sensazione di aver costruito qualcosa che è stato capito e apprezzato da i più.
Si sa che il genio gode nell’avere un pubblico elitario, perché è la nicchia, il circolo apostolico a conferire quell’ombra di artistica essenza e profondità stile bohémien molto di moda tutt’oggi, eppure ad artisti, musicisti, e perché no, a registi considerati geniali se ne affiancano per necessità altri che con il loro talento riescono comunque, e forse anche di più, ad essere apprezzati dal pubblico, perché anziché asservirsi ai propri pensieri nefasti, sogni malinconici o spiragli di follia notturna, si dedicano a scoprire ciò di cui il pubblico ha bisogno per svagarsi e sorridere.
È questo il caso di Fausto Brizzi, il quale, impegnatissimo sin dal 1994 a sceneggiare per la televisione e per il cinema, da qualche hanno si diletta con la regia di film leggeri e di successo.
Meritevole di aver ideato le storie per quasi tutti i film di natale diretti da Neri Parenti, come Bodyguard o Merry Christmas, Natale in Crociera eccetera, Brizzi ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti con il suo primo film da regista e sceneggiatore, Notte prima degli esami, che ha dato inizio ad una prosperosa lista di commediole divertenti e spumeggianti, ideali per un pubblico “normale” abituato ai ritmi, alle luci, alle vicende della televisione, il quale probabilmente si rivelerebbe analfabeta difronte ad un opera di Ingmar Bergman o di Fellini.
Uno tra gli ultimi film del giovane regista in questione si intitola Pazze di me e vede esibito un cast stellare, con noti volti del teatro e del cinema tra cui una bellissima e bravissima Loretta Goggi.
La vicenda imbastita come al solito in un terreno di scontri e incontri tra il genere maschile e quello femminile, che ci ricorda un po’ gli scorsi successi di Brizzi, quali Maschi contro femmine e Femmine contro maschi, è scandita dai ritmi frenetici di una strampalata famiglia tutta al femminile, fatta di donne in carriera, egocentriche, euforiche, un po’ isteriche che con le loro capovolte e giravolte finiscono per soffocare l’unico uomo della famiglia, un giovane disoccupato un po’ fallito il quale vede terminare tutti i suoi rapporti amorosi nel momento in cui invita la giovane amante di turno a casa.
La storia, frizzante e un po’ banale, si costruisce in un susseguirsi di avventure del protagonista e delle donne di casa. Forgiata con un eccellente ritmo che la rende fruibile a tutti tipi di spettatore e in tutte le situazioni, Pazze di me, si aggiudica un incasso di due milioni di euro e una soddisfacente accoglienza dal pubblico.
Al contrario, la critica distrugge l’umore del regista infangando la sua pellicola con orripilanti e ingiustificate osservazioni tra le quali ricordiamo il “razzismo” nei confronti del genere femminile, visto che le donne sono state tutte quante descritte come creature di quei stereotipi sociali che le vedono stupide ed eccessivamente emotive, un commento poco azzeccato in quanto il regista ce le disegna come formidabili donne in carriera seppur macchiate da un animo fragile, frivolo e lascivo, così come pure gli uomini presentati nel film, un marito adultero e traditore, un giovane fallito, un fidanzato sofferente del complesso di inferiorità, un filosofo sognatore tutto sommato nullafacente, un giardiniere intimorito dal carattere forte della propria titolare. Tanto le donne quanto gli uomini ci vengono raccontati come macchiette, come zimbelli di una società realmente fatta di presunti filosofi e scalzisti vegani, di donne e uomini traditori e di disoccupati “interinali”.
Il motivo per cui le critiche a questo film appaiono del tutto infondate, è che Brizzi si presenta al cinema con un commedia che, fedele alla sua essenza, “deve” far sorridere esagerando e caricando i personaggi con i difetti e le brutture della società.
“Ciò che fa il successo di un bel po’ di opere è il rapporto accertato tra la mediocrità delle idee dell’autore e la mediocrità delle idee del pubblico” ( Nicolas de Chamfort )
Arrendiamoci difronte all’evidenza che l’Italia sia un pubblico di mediocri, i quali non hanno alcuna colpa nell’essere tali, ma sono solo le vittime di una trascurata attenzione nei confronti del cinema, il quale dovrebbe essere insegnato in tutte le scuole invece di finire nel dimenticatoio.
Non ci si può illudere che un analfabeta apprezzi Dante, ma neppure si può pretendere che disprezzi le favolette. Un pubblico deve essere istruito e guidato, solo così si può desiderare che non esistano opere che non siano geniali. Se lo spettatore medio continuerà a volere un film non indecifrabile ai suoi occhi, continueranno ad esistere quelle commediole leggere che la critica tanto detesta.
Si sa che il pubblico esige di essere trattato come le donne, alle quali soprattutto non bisogna dir nulla che a loro non piaccia sentire. E per l’appunto, come affermava molto realisticamente William Somerset Maugham, la gente ha sempre bisogno di mangiare, di bere e di divertirsi. Perciò si va a colpo sicuro quando si impiega il proprio denaro in ciò che il pubblico ritiene indispensabile.
Finché criticare sarà più semplice che originare un’opera d’arte, sarà bene seguire solo il nostro istinto di pubblico e lasciarci cullare dalle nostre sensazioni per renderci conto se un film ci è piaciuto oppure no.
“Ci sono due specie di critiche, l’una che s’ingegna più di scorgere i difetti, l’altra di rivelar le bellezze. A me piace più la seconda che nasce da amore, e vuol destare amore che è padre dell’arte; mentre l’altra mi pare che somigli a superbia, e sotto colore di cercare la verità distrugge tutto, e lascia l’anima sterile” ( Luigi Settembrini)
di (Giulia Betti)