La 68° edizione del Festival di Venezia ci accoglie anche quest’anno, dopo l’estate, inaugurando l’agenda degli eventi mondani. Accompagnati dal fascino della madrina dell’evento, Vittoria Puccini, i palinsesti ci presentano ancora una volta nomi di registi di fama internazionale, da Al Pacino, con il suo documentario Wilde Salome, a Carnage di Roman Polanski (con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John Reilly), ma anche Box Office 3D – Il film dei film, sotto la regia dell’italiano Ezio Greggio.
In passerella sfilano attori del calibro di George Clooney, il cui ultimo film – Le Idi di marzo – da lui diretto, prodotto e recitato, apre le danze veneziane; ma anche Viggo Mortensen, che da eroe nomade de Il Signore degli Anelli veste ora i panni di un Dottor Freud coinvolto nelle intricate relazioni umane ed emotive di A Dangerous Method di David Cronenberg, assieme alla bellissima co-protagonista Keira Knightley. Per non parlare poi dell’affascinante attore inglese Colin Firth, che, appena aggiudicatosi l’Oscar per la straordinaria interpretazione di Re Giorgio VI ne Il Discorso del Re, calca di nuovo la scena in Tinker, Tailor, Soldier, Spy (titolo italiano, La talpa), tratto dall’omonimo libro di John le Carrè e diretto da Tomas Alfredson.
Accanto ai colleghi maschi, percorrono il tappeto rosso anche le stelle del cinema internazione: da Kate Winslet, che anche se con qualche ruga in più mantiene comunque la sua bellezza spontanea nella commedia di Polanski Carnage, alla giovanissima Evan Rachel Wood – classe 1987 – considerata ad oggi una delle poche attrici hollywoodiane dotate di quel glamour che contraddistingueva le dive del cinema americano anni ’30 e ’40. Non poteva mancare, infine, l’apparizione dell’italiana Monica Bellucci, il cui nudo integrale nel film Un été brûlant sta già scatenando sulle pagine della stampa internazionale coloriti dibattiti. Anche se la vincitrice della Coppa Volpi come migliore interpretazione femminile va alla cinese Deanie Yip, interprete nella pellicola Simple life di Ann Hui.
Resta quindi da svelare solo il vincitore del tanto ambito Leone d’oro: se lo aggiudica il russo Aleksandr Sokurov, regista del film Faust, che tratta uno dei personaggi più importanti e conosciuti della cultura tedesca; ed è proprio prendendo spunto dalle pagine del “Faust” di Goethe che Sokurov scrive il quarto capitolo di una saga sul potere, iniziata con i ritratti di Lenin, Hitler e Hirohito – rispettivamente rappresentati nei film Toro, Moloch e Il sole. Qui, però, la novità è che, diversamente dalle prime tre pellicole, Sokurov si serve di un personaggio “di carta” per raccontarci l’eterna condizione umana, scissa tra le seduzioni terrene e la tensione verso l’infinito.
Antonella Greco