Il 15 luglio 1997 Gianni Versace veniva ucciso a Miami da Andrew Cunanan. Il mondo perdeva così l’uomo che aveva rivoluzionato il concetto stesso di “moda” aprendolo alla cultura popolare e alle contaminazioni derivanti dal mondo dell’arte e della musica, dalla cultura greca e barocca; il genio che aveva aperto le porte dei suoi atelier a pop star e a stelle del rock quali Madonna e Bon Jovi, ma che, soprattutto, aveva varcato con le proprie creazioni i confini tra classi sociali, facendo conoscere alle masse popolari ciò che fino a qualche decennio prima era esclusivo appannaggio delle élite.
Gianni Versace diventa protagonista di una nuova serie televisiva in onda su FoxCrime, “The Assassination of Gianni Versace”, che in nove episodi farà rivivere al grande pubblico gli ultimi attimi di vita del grande stilista, ucciso con due colpi di pistola all’interno della sua villa di Ocean Drive a Miami Beach. Proprio questa location, diventata poi un hotel di lusso, è stata eletta dal regista Ryan Murphy come set della serie: gli spazi ripresi sono dunque il reale teatro della tragedia di vent’anni fa.
Al di là del racconto dell’omicidio, il regista pone un serio quesito: si sarebbe potuto fare qualcosa per evitare quel crimine? E Murphy sembra suggerire una risposta positiva. Individua infatti un nesso tra l’assassinio di Gianni Versace e i pregiudizi e l’ignoranza sul mondo gay, molto forti nell’America degli anni ’90.
Nei tre mesi precedenti all’omicidio di Versace, infatti, il serial killer Andrew Cunanan aveva ucciso altri quattro uomini omosessuali, ma l’FBI, prevenuta nei confronti di un mondo che disprezzava, non aveva mostrato una adeguata dedizione al caso. Secondo Murphy, se le precedenti vittime fossero state invece eterosessuali, probabilmente le autorità avrebbero catturato il colpevole prima che uccidesse Versace.
Il tema dell’omofobia diventa quindi il cardine attorno al quale ruota la serie. La scena dell’interrogatorio dello storico compagno di Versace, Antonio d’Amico, è esemplificativa dell’atteggiamento pregiudiziale di quegli anni: la polizia stenta infatti a concepire il rapporto di amore e affetto che intercorreva tra i due, e accusa invece d’Amico di essere un mero approfittatore.
Pur concedendosi, come ha polemizzato Antonio d’Amico, alcune libertà rispetto alle reali vicende, che in ogni caso rimangono per lo più oscure, Ryan Murphy ha osato affrontare un tema difficile, scomodo, ma purtroppo sempre attuale.
di Francesca Trivella