L’attrice, per il suo primo film dietro la macchina da presa, porta Elena Ferrante a Venezia 78
The Lost Daughter è l’opera cinematografica che segna l’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal, l’attrice statunitense ha infatti deciso di presentare in concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia un film tratto dal romanzo La figlia oscura di Elena Ferrante, che uscirà su Netflix alla fine di quest’anno.
La sinossi del film
Leda, interpretata da Olivia Colman, è una donna di mezza età che lavora come professoressa di letteratura italiana. Le sue figlie un giorno partono per il Canada per raggiungere il padre e Leda resta da sola. Questa condizione che aveva dimenticato in realtà non le dispiace; riassapora gradualmente un senso di libertà e di leggerezza che la fa stare bene.
Parte per una vacanza al mare dove fa nuove conoscenze e, in particolare, resta colpita dal rapporto di una giovane mamma (Dakota Johnson) con la sua bambina. Con il passare dei giorni la donna viene sopraffatta dai ricordi legati allo sgomento, allo smarrimento e all’intensità della sua maternità. Un gesto impulsivo la getta nello strano e minaccioso universo della sua stessa mente, in cui è costretta a fare i conti con le scelte anticonformiste di quando era una giovane madre, e con le loro conseguenze.
La Gyllenhaal alla regia
Mentre la produzione era originariamente fissata negli States, la pandemia ha costretto la regista a spostare l’ambientazione della pellicola, optando per un’isola della Grecia. Alla realizzazione del suo primo lungometraggio sulla sedia del regista, la Gyllenhaal ha affermato: “Non mi sono mai sentita più viva e nella corrente della mia vita di quanto mi sentissi come regista”.
Pur con alcuni dubbi e con mille domande, la Gyllenhaal ha voluto portare avanti la sua idea e realizzare questo film: “Ovviamente esiste una sorta di sgomento e pericolo nel relazionarsi a qualcuno alle prese con cose che ci sono state dipinte come vergognose o sgradevoli. Ma quando quelle esperienze vengono portate sullo schermo, esiste anche la possibilità di trovare conforto: se qualcun altro formula quegli stessi pensieri e prova quelle stesse sensazioni, forse non si è soli. Questa è una parte della nostra esperienza che di rado trova espressione e, quando ciò accade, è per lo più attraverso l’aberrazione, la dissociazione o il sogno”.
di Emanuela Bruschi