Volevo nascondermi: l’anima di Antonio Ligabue
Toni nasce in Svizzera, la sua infanzia è segnata dal dolore per la morte della madre e dei fratelli, e dalla malattia, che comprometterà la sua salute fisica e mentale per sempre. Dopo essere stato affidato a una famiglia adottiva tedesca, viene rimandato in Italia a causa di una violenta lite con la madre adottiva. È un emarginato, rachitico, il suo volto ricorda quello di un contadino, abbrutito dalla fatica e dalla privazione, fa fatica a esprimersi con parole umane, si dice sia un pazzo, un malato di mente, selvatico e schivo, proprio come gli animali da lui tanto amati e tante volte dipinti nelle sue tele: questo è il ritratto di Antonio Ligabue, un uomo che non ha nulla di comune, ma è tutto straordinario.
Il Van Gogh italiano: il dolore, la malattia, la vita
“El Tudesc” (così lo chiamavano, poiché non sapeva parlare nemmeno una parola di italiano) vive in una capanna sulle rive del Po, libero, selvatico, e come ogni altro uomo o animale su questa terra, desidera soltanto essere amato. L’incontro con uno scultore rappresenta una grande svolta per la sua esistenza, grazie a lui infatti si avvicina all’arte figurativa e scultorea, che diventerà l’unico mezzo per rapportarsi con il mondo esterno e per esprimere la propria tormentata anima. Dopo l’ennesimo ricovero in un ospedale psichiatrico, le sue opere iniziano a riscuotere consenso, e in breve tempo raggiungono successo nazionale.
Elio Germano: un’interpretazione perfetta
Dal 27 febbraio al cinema, Giorgio Diritti e Elio Germano ci accompagneranno alla scoperta della travagliata storia di uno dei più importanti artisti italiani del XX secolo: Antonio Ligabue. Il regista, vincitore di due David di Donatello, porta sul grande schermo una storia di diversità, di voglia di riscatto e autoaffermazione, resa ancor più convincente e speciale dall’interpretazione dell’attore protagonista, il magnifico Elio Germano, che si riconferma come uno dei volti più talentuosi del cinema italiano.
di Alessandra Baio