Quando osserviamo un quadro famoso o un dipinto particolarmente bello, si risvegliano in noi sensazioni, emozioni e pensieri appartenenti alla nostra sfera emotiva più intima e privata. L’arte infatti ha il potere di attivare delle aree cerebrali specifiche che mediano l’apprezzamento estetico e la creatività. Mi sto riferendo alla disciplina della Neuroestetica, che studia, per l’appunto, e indaga quei meccanismi neurali e cerebrali implicati nel riconoscimento del bello quando siamo di fronte a un’opera d’arte.
L’obiettivo dei neuroscienziati è quello di comprendere il funzionamento del cervello attraverso lo studio di opere d’arte e la collaborazione con gli artisti, utilizzando tecniche di brain imaging come ad esempio la risonanza magnetica funzionale o la stimolazione magnetica transcranica. La domanda di partenza che si sono posti alcuni di questi neuroscienziati e ricercatori è stata: “Poiché la creazione di un’opera d’arte richiede un’attività motoria (muovere le mani per dipingere, scolpire, plasmare, etc.), fino a che punto il fatto che quell’opera ci piaccia o meno è legato ai movimenti che l’artista compie durante la sua creazione?”. L’ipotesi di base è stata formulata prendendo come punto di riferimento i cosiddetti “neuroni specchio”, meglio conosciuti nella letteratura scientifica come “mirror neurons”.
Questa particolare classe di neuroni si attiva quando un soggetto compie un’azione oppure quando osserva la stessa azione compiuta da un altro; è un po’ come dire che osservando Michelangelo scolpire una delle sue opere, siano simulati mentalmente i movimenti del braccio e delle mani che egli stesso compie per delineare le forme nella pietra. Da alcuni studi è così emerso che quando si presentava ad alcuni soggetti un’immagine che precedeva un quadro che fosse congruente con le pennellate sul dipinto mostrato in successione, il giudizio estetico sull’opera aumentava significativamente. Per dirla in parole povere, l’opera d’arte veniva amata maggiormente e apprezzata in modo significativo se la sua osservazione era preceduta dalla simulazione dei movimenti corporei compiuti dall’artista.
Tutto ciò permette di comprendere che quando il cervello attribuisce un valore estetico ad un’opera d’arte, applica dei meccanismi intuibili solo in parte e non del tutto chiari, come l’attivazione delle aree motorie. Si apre pertanto una nuova ed importante area di ricerca futura relativa ai meccanismi neurali coinvolti in alcuni deficit sociali e comunicativi connessi alla simulazione, come ad esempio l’autismo, e non solo. Ci si chiede infatti come cambi la percezione delle opere d’arte (e quindi anche la loro esecuzione da parte degli artisti) dopo aver subito dei danni cerebrali o essere stati colpiti da patologie neurodegenerative come il Morbo di Alzheimer.
Cari lettori, vi lascio dunque con uno spunto di riflessione: secondo voi sono le persone ad essere creative, oppure la creatività dipende esclusivamente dalle percezioni e dalla qualità legata alla sanità del nostro cervello?
di Sabrina Burgoni