È ormai noto e accettato anche dal senso comune che sesso biologico e sesso psicologico non coincidano naturalmente. Il primo non appare come causa necessaria sufficiente per l’assunzione del secondo. Con formula un po’ logora possiamo sintetizzare dicendo che “maschi si nasce e uomini si diventa”; con termini più tecnici ed elegante possiamo parlare di “processo di sessuazione”. Si tratta di quel cammino che porta all’assunzione psicologica, al sentirsi, al percepirsi e all’agire come appartenenti al sesso biologico datoci in sorte. Questa coincidenza tra sesso biologico e sesso psicologico non sempre si realizza e – qualcuno certamente si indignerà – resta indicata negli autorevoli manuali di psichiatria come patologia, come disfunzione, rubricata come transessualismo al capitolo “disturbi sessuali e dell’identità di genere”. L’omosessualità è stata esclusa dal novero dei disturbi sessuali e la sua uscita dalla campo della patologia è stata accompagnata dai consueti cori, sostenitori di opposti orientamenti, che da un lato plaudevano a una non più rinviabile modernizzazione e dall’altro esibivano sdegno per la pretesa di rendere normale un comportamento sessuale ritenuto perverso. La questione è indubbiamente spinosa e come sempre coinvolge valutazioni cliniche, ideologiche ed etiche. Si tratta di un dibattito acceso e troppo ampio per poter essere qui riassunto. Tuttavia restando alla lettera dei “sacri testi” di psichiatria sembra possibile affermare che l’assunzione di un’identità di genere maschile non implichi un orientamento eterosessuale, e anche qui qualcuno certamente si indignerà. Ma usciamo per un momento dalle definizioni e dalle distinzioni tra normalità e patologia per chiederci cosa distingue l’uomo. La psicanalisi ha individuato nel “godimento fallico” l’essenza del maschile, godimento per sua natura limitato e interrotto, contrapposto al godimento femminile caratterizzato dalla continuità. Ecco che l’anatomia assume valore simbolico, mente e corpo trovano un’unione. All’uomo è così affidato il compito di limitare la soddisfazione, di trovarsi a guardia contro il potere di un piacere senza fine e senza regole che diventa distruttivo. Lui sa fermarsi, sa porre un limite alla sua compagna che parrebbe invece inarrestabile nel volerlo e poterlo desiderare continuamente. Certo la sua interdizione, le norme che egli si trova a dover porre non dovranno essere solo divieti capricciosi e senza senso; si spera esse siano come semafori o cartelli stradali che certamente impongono divieti e limitazioni ma non impediscono a chi li osserva di scegliere la propria meta, bensì sono garanzia del suo raggiungimento in sicurezza e serenità
Dottor Marco Farina, psicoterapeuta